Bitcoin e criptovalute: quattro aspetti negativi da tenere in conto
In un mondo mai così liquido e cangiante come quello attuale è scontato che il tema dei
bitcoin (e più in generale delle criptovalute) sia sulla bocca di tutti. Le infinite possibilità offerte
da questa nuova frontiera della finanza mondiale tutta in digitale fanno infatti sognare, sperare
e credere milioni di persone in tutto il globo. Svolte e cambiamenti sono all’ordine del giorno e
il percorso in divenire che è proprio di queste monete ne costituisce un elemento da tenere
sott’occhio in maniera costante. Difficilmente si ricorda un tale interesse in una nuova forma di
pagamento così estremamente diversa da ciò che già è sulla piazza e questo, per assurdo, può
legittimamente spaventare chi davanti a un cambiamento così massivo non sa bene come
reagire. È per questo giusto analizzare anche quelli che sono gli aspetti negativi delle
criptovalute, di cui spesso si parla ma che ancor più sovente sono tenuti in sordina. A
seguire sono presi in esame quattro di essi, assai importanti e degni di nota.
Il bitcoin consuma più energia della Croazia.
Ci troviamo in un momento storico nel quale i temi ambientali sono sulla bocca di tutti: il
climate change è infatti un problema universalmente – o quasi – riconosciuto e
pertanto non passano inosservate le preoccupazioni di chi vede nelle criptovalute un ulteriore
problema per il nostro già sofferente pianeta. In questi mesi diverse sono state le analisi che
hanno cercato di approfondire il tema relativo a quanta energia è necessaria per
produrre dei bitcoin. L’estrazione delle criptovalute (mining, nel gergo
digitale) è infatti un’operazione che richiede uno sforzo decisamente elevato, realizzato da
calcolatori di elevatissima potenza e di ultima generazione. Senza di essi, infatti, non è
possibile poter produrre criptovalute in quantità sufficiente per poter garantire tutte le
transizioni richieste. La prima analisi più importante nel merito fu fatta dal blog
Digiconomist che analizzò come se il bitcoin fosse uno Stato
consumerebbe più di paesi quali Croazia, Austria e Ungheria assestandosi al
sessantunesimo posto nella speciale classifica degli Stati per dispendio energetico.
Successivamente un ulteriore studio è stato compiuto anche dagli esperti di Selectra i quali, calcolando la potenza elettrica dei dispositivi
utilizzati per il mining e analizzando l’hashrate totale della rete hanno potuto
approfondire la questione: grazie a questa analisi si è potuto studiare come – avvicinandosi al
modello italiano – il bitcoin consuma annualmente più di molte regioni del
Belpaese quali ad esempio Calabria, Basilicata, Molise e Umbria. A margine di ciò è
quindi lecito porsi una domanda: il bitcoin è, effettivamente, un modello ambientalmente
sostenibile a lungo raggio?
La criptovaluta è una moneta che non si vede.
Questo è un tema che appassiona soprattutto i più conservatori e riguarda la sostanza vera e
propria della moneta; un’ampia fetta di società è infatti perplessa davanti al fatto compiuto
che possedere un’ingente quantità monetaria in criptovaluta significa averla su un
computer ma non poterla toccare con mano. Un dato da poco? Non proprio: dal
fruttivendolo alla bottega sotto casa o al centro commerciale nei weekend non è possibile
estrarre il portafogli dalla tasca e pagare in bitcoin e questo, certamente, è un fattore che può
spaventare chi ha poca dimestichezza con il mondo digitale. A ciò si aggiunga che anche il
mondo virtuale, casa naturale del bitcoin e dei suoi fratelli non è del tutto aperto a pagamenti
in bitcoin: molti e-commerce stanno recentemente spalancando le proprie porte a questo tipo
di compenso ma, nel complesso, siamo ancora molto indietro.
«Il bitcoin? Una bolla che finirà in tragedia»
Quando a dire la sua è un noto luminare è sempre buona cosa ascoltare e cercare di far tesoro
delle parole pronunciate. Se a parlare di economia è un Premio Nobel quale Paul
Krugman che si esprime con termini catastrofici sui bitcoin è ancora più giusto
esaminare nel dettaglio le perplessità emerse. In un pezzo sul New York Times il noto
economista ha infatti previsto un crollo totale della criptovaluta arrivando ad auspicarsi,
inoltre, che ciò possa avvenire quanto prima. Le sue parole sono abbastanza forti in tal senso e
per un certo verso si ricollegano al precedente punto osservato: «il Bitcoin non ha alcun
valore intrinseco, e non ha alcun legame con la realtà. Il suo prezzo è quasi puramente
speculativo e quindi incredibilmente volatile», aggiungendo che «se fosse una
valuta reale, equivarrebbe ad un tasso di inflazione annuo approssimativamente dell’ottomila
per cento». Insomma a ognuno la sua ma, certamente, siamo davanti a un parere che va
ascoltato.
Ma quanto è realmente sicuro il bitcoin?
Veniamo all’ultimo potenziale aspetto negativo: la sicurezza della criptovaluta. Partiamo da un
dato fondamentale: il bitcoin è digitale, posseduto attraverso un monitor e un computer ed è
pertanto soggetto sia alla positività di non doverlo portare in giro che alle possibili
sfaccettature più incerte del mondo web (si leggano attacchi hacker d’ogni genere e
tipologia). A maggior ragione siamo davanti a una banca che non è gestita da regolamentazioni
più o meno ferree e stabilite a livello globale ma, più nello specifico, a ignoti traders del web
che possono muovere i fili delle valutazioni in maniera assai imprevedibile. Anche qui Krugman
ha voluto dire la sua: «nel 2013 le attività fraudolente di un singolo trader fecero
crescere di sette volte il corso della criptovaluta – e con ciò – il Bitcoin è molto
suscettibile alle manipolazioni del mercato».
Insomma pare che davanti al sogno di una generazione di nuovi ricchi ci possa essere una scala
impervia con degli ostacoli incerti da superare: il bitcoin sarà in grado di farcela e di zittire gli
scettici?